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della malattia e della convalescenza, a traverso tante altre vicende, a traverso l’amore di Donna Maria Ferres, molto lontana ma avvolta di non so che idealità. Egli aveva da lei ottenuto il consenso; e, pur non essendo giunto a possederla, ne aveva tratto una delle più grandi ebrezze umane: l’ebrezza della vittoria sopra un rivale, d’una vittoria clamorosa, in conspetto della donna desiderata. In quei giorni, il desiderio non potuto appagare gli era risorto; e sotto l’impero dell’imaginazione, l’impossibilità di appagarlo gli aveva dato una inquietudine indicibile, qualche ora di vero supplizio. Poi, tra il desiderio e il rimpianto era nato un altro sentimento, quasi di compiacenza, direi quasi d’elevazione lirica. Gli piaceva che la sua avventura terminasse così, per sempre. Quella donna non posseduta, pel cui acquisto egli era stato sul punto di rimanere ucciso, quella donna quasi sconosciuta gli si levava unica intatta su le cime dello spirito, nella divina idealità della morte. Tibi, Hippolyta, semper!

― Dunque ― raccontava Giulio Muséllaro ― ella è venuta oggi, verso le due.

Raccontava la resa di Giulia Moceto, con un certo entusiasmo, con molte particolarità intorno la rara e segreta bellezza della Pandora infeconda.

― Hai ragione. È una coppa d’avorio, uno scudo raggiante, speculum voluptatis...

In Andrea una certa lieve puntura provata alcuni giorni a dietro, nella notte di luna, dopo il teatro, quando l’amico era salito solo al palazzetto Borghese, facevasi ora di nuovo sentire;