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bel bronzo conservante appena una traccia di doratura o una scaglia di tartaruga fina da cui trasparisca una foglia d’oro. Un gran cuscino, tagliato in una dalmatica, d’un colore assai disfatto, di quel colore che i setaiuoli fiorentini chiamavano rosa di gruogo, rendeva molle la spalliera.
Elena sedette. Posò sull’orlo della tavola da tè il guanto destro e il portabiglietti ch’era una sottile guaina d’argento liscio con sopra incise due giarrettiere allacciate, recanti un motto. Quindi si tolse il velo, sollevando le braccia per sciogliere il nodo dietro la testa; e l’atto elegante destò qualche onda lucida nel velluto: alle ascelle, lungo le maniche, lungo il busto. Poichè il calore del camino era soverchio, ella si fece schermo con la mano nuda che s’illuminò come un alabastro rosato: li anelli nel gesto scintillarono. Ella disse:
― Coprite il fuoco; vi prego. Brucia troppo.
― Non vi piace più la fiamma? Ed eravate, un tempo, una salamandra! Questo camino è memore....
― Non movete le memorie, ― ella interruppe. ― Coprite dunque il fuoco, e accendete un lume. Io farò il tè.
― Non volete togliervi il mantello?
― No, perchè debbo andar via presto. È già tardi.
― Ma soffocherete.
Ella si levò, con un piccolo atto d’impazienza.
― Aiutatemi, allora.
Andrea sentì, nel toglierle il mantello, il profumo di lei. Non era più quello d’una volta;