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chio intorno a quel letto per ove eran passati tanti amori immondi; gli pareva quasi che quelle mani senili rimescolassero tutte le impurità, inconsapevolmente.
― Va a dormire, Terenzio ― egli disse. ― Non ho bisogno d’altro.
Rimase solo, d’innanzi al fuoco, solo con l’anima sua, solo con la sua tristezza. Si levò, agitato dal tormento interiore, e si mise a percorrere la stanza. L’incalzava la visione della testa di Elena sul guanciale scoperto del letto. Ad ogni tratto, quando giunto d’innanzi alla finestra si rivolgeva, credeva di vederla; e n’aveva un sussulto. I suoi nervi erano così estenuati che secondavano ogni disordine della fantasia. L’allucinazione diveniva più intensa. Egli si fermò, nascose la faccia tra le palme, per contenere l’eccitamento. Poi tirò sul guanciale la coperta; e andò a risedersi.
Gli sorse nello spirito un’altra imagine: Elena tra le braccia del marito: ancora una volta, con una esattezza implacabile.
Egli ora conosceva meglio questo marito. Proprio in quella sera, al teatro, in un palco, egli era stato a lui presentato da Elena e l’aveva osservato attentamente, minutamente, con acuta ricerca, come per averne qualche rivelazione, come per strappargli un segreto. Udiva ancora la voce di lui, una voce d’un timbro singolare, un po’ stridula, che dava ad ogni principio di frase una intonazione interrogativa; e vedeva quegli occhi chiari chiari sotto la gran fronte convessa, quegli occhi che prendevano talvolta i riflessi morti d’un vetro o s’animavano d’un