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nima velava d’un velo sacro e circondava d’un mistero quasi divino, appariva ora senza il velo, senza il mistero della fiamma, come una lascivia interamente carnale, come una libidine bassa. Ed egli sentiva che quel suo ardore non era l’Amore e che non aveva più nulla di comune con l’Amore. Non era l’Amore. Ella gli aveva gridato: ― Soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo? ― Ebbene, sì, egli l’avrebbe sofferto!
Egli l’avrebbe presa, senza ripugnanza, così come veniva, contaminata dall’abbraccio di un altro; avrebbe messa la sua carezza su la carezza di un altro; avrebbe premuto il suo bacio sul bacio di un altro.
Nulla più, nulla più, dunque, in lui rimaneva intatto. Anche il ricordo della grande passione si corrompeva miseramente, si bruttava, s’avviliva, in lui. L’ultimo barlume di speranza era estinto. Infine, egli toccava il fondo, per non rialzarsi mai più.
Ma una orribile smania l’invase, di atterrare l’idolo che rimanevagli pur sempre alzato ed enigmatico d’innanzi. Con una cinica crudeltà egli si mise a scalzarlo, ad oscurarlo, a corroderlo. L’analisi distruggitrice, ch’egli già aveva esperimentata su se medesimo, gli servì contro di Elena. A tutte le interrogazioni del dubbio, che un tempo egli aveva voluto sfuggire, ora cercò una risposta; di tutti i sospetti, che un tempo apparivano e si dileguavano senza lasciar traccia, ora studiò l’origine, ritrovò la giustificazione, ottenne la conferma. Egli credeva di trovare un sollievo in questa disgraziata opera