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e il dubbio e la gelosia; senza indugio, l’occupò la certezza che nessun prodigio mai avrebbe potuto risuscitare sol una minima parte della felicità morta, riprodurre sol un baleno dell’ebrezza spenta, sol un’ombra dell’illusione sparita.

Ella era venuta, ella era venuta! Era rientrata nel luogo dove ogni cosa per lei custodiva un ricordo e aveva detto: ― Io non sono più tua, non potrò essere tua più mai. ― Aveva gridato, contro di lui: ― Soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo? ― Proprio, aveva osato gridar quelle parole, contro di lui, in quel luogo, in conspetto di quelle cose!

Un dolore atroce, enorme, fatto di mille punture l’una dall’altra distinte e l’una più dell’altra acute, lo tenne per qualche tempo e l’esasperò. La passione lo riavvolse con mille fuochi, suscitandogli un inestinguibile ardore carnale per quella donna non più sua, risvegliandogli nella memoria tutte le più minute particolarità dei godimenti lontani, le imagini di tutte le carezze, di tutte le attitudini di lei nel piacere, di tutte le folli mescolanze che non saziavano nè appagavano mai la loro brama di continuo rinascente. E pur sempre, in ogni sua imaginazione, persisteva quella strana difficoltà a ricongiungere l’Elena d’una volta all’Elena d’ora. Mentre i ricordi del possesso lo accendevano e lo torturavano, la certezza del possesso gli sfuggiva: l’Elena d’ora gli pareva una donna nuova, non mai goduta, non mai stretta. Il desiderio gli diede tali spasimi ch’egli credè morirne. L’impurità l’infettò come un tossico.

L’impurità, che allora la fiamma alata dell’a-