Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 21 ― |
stanza, dava ad Andrea un diletto così vivo ch’egli esclamò:
― Parlate, Elena; parlate ancora!
Ella rise. E domandò:
― Perchè?
Egli rispose, prendendole la mano:
― Voi lo sapete.
Ella ritrasse la mano; e guardò il giovine fin dentro li occhi.
― Io non so più nulla.
― Voi siete dunque mutata?
― Molto mutata.
Già il “sentimento„ li traeva ambedue. La risposta di Elena chiariva d’un tratto il problema. Andrea comprese; e, rapidamente ma precisamente, per un fenomeno d’intuizione non raro in certi spiriti esercitati all’analisi dell’essere interiore, intravide l’attitudine morale della visitatrice e lo svolgimento della scena che dovea seguire. Egli però era già tutto invaso dalla malìa di quella donna, come una volta. Inoltre, la curiosità lo pungeva forte. Disse:
― Non sedete?
― Sì, un momento.
― Là, su la poltrona.
― Ah, la mia poltrona! ― ella stava per dire, con un moto spontaneo, poichè l’aveva riconosciuta; ma si trattenne.
Era una seggiola ampia e profonda, ricoperta d’un cuoio antico, sparso di chimere pallide a rilievo, in sul gusto di quello che ricopre le pareti d’una stanza del palazzo Chigi. Il cuoio aveva preso quella tinta calda e opulenta che ricorda certi fondi di ritratti veneziani, o un