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del volere veniva soverchiata da quella degli istinti; la conscienza, come un astro senza luce propria, ad ogni tratto si eclissava. Tale era stato sempre; tale sarebbe stato sempre. Perchè, dunque, combattere contro sè medesimo? Cui bono?
Ma a punto codesta lotta era una necessità della sua vita; a punto codesta irrequietudine era una condizione essenziale della sua esistenza; a punto codesta sofferenza era una condanna a cui non avrebbe egli potuto sottrarsi già mai.
Qualunque tentativo di analisi su sè medesimo si risolveva in una maggiore incertezza, in una maggiore oscurità. Essendo egli interamente sfornito di forza sintetica, la sua analisi diveniva un crudele giuoco distruttore. E da un’ora di riflessione su sè medesimo egli usciva confuso, disfatto, disperato, perduto.
Quando, la mattina del 30 dicembre, nella via dei Condotti, inaspettatamente, si rincontrò con Elena Muti, egli ebbe una commozione inesprimibile, come d’innanzi al compiersi d’un fato meraviglioso, come se il riapparir di quella donna in quel momento tristissimo della sua vita avvenisse per virtù d’una predestinazione ed ella gli fosse inviata per soccorso ultimo o per ultimo danno nel naufragio oscuro. Il primo moto dell’anima sua fu di ricongiungersi a lei, di riprenderla, di riconquistarla, di ripossederla tutta quanta, come un tempo, di rinnovare la passione antica con tutte le ebrezze e tutti gli splendori. Il primo moto fu di giubilo e di speranza. Poi, senza indugio, risorsero la diffidenza