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cose sciocche, cambiò umore. Il Corso era popoloso, le vetrine splendevano, i venditori di giornali strillavano, vetture publiche e signorili s’incrociavano col coupé, dalla piazza Colonna alla piazza di Venezia si spandeva tutta l’animazione serale della vita di Roma.
Quando entrarono dai Doney, le otto erano passate di dieci minuti. Gli altri sei commensali erano già presenti. Andrea Sperelli salutò la compagnia e, portando per mano Clara Green, disse:
― Ecce Miss Clara Green, ancilla Domini, Sibylla palmifera, candida puella.
― Ora pro nobis ― risposero in coro il Muséllaro, il Barbarisi e il Grimiti. Le donne risero, ma senza capire. Clara sorrise; e, fuor del mantello, appariva in abito bianco, semplice, corto, con una scollatura a punta sul petto e su le spalle, con un nastro verdemare su l’omero sinistro, con due smeraldi alli orecchi, disinvolta sotto il triplice esame di Giulia Arici, di Bébé Silva e di Maria Fortuna.
Il Muséllaro e il Grimiti la conoscevano. Il Barbarisi le fu presentato. Andrea diceva:
― Mercedes Silva, nominata Bébé, chica pero guapa.
― Maria Fortuna, la bella Talismano, che è una vera Fortuna publica... per questa Roma che ha la fortuna di possederla.
Quindi, volgendosi al Barbarisi:
― Fateci voi l’onore di presentarci a quella dama, che, se non m’inganno, è la divina Giulia Farnese.
― No: Arici ― interruppe Giulia.
― Chiedo perdóno, ma per crederlo ho biso-