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― Bisogna sentirla da Gino, per ridere. Tu conosci la mimica di Gino. Bisogna vedere la faccia ch’egli fa, quando arriva al punto culminante. È un capolavoro!

― La sentirò anche da lui, ― insisteva Andrea, punto dalla curiosità ― ma accennami qualche cosa; ti prego.

― Ecco, in due parole ― consentì Ruggero Grimiti, posando sul tavolo la tazza, e accingendosi a raccontar la storiella, senza scrupoli e senza reticenze, con quella stupenda facilità con cui i giovini gentiluomini publicano i peccati delle loro e delle altrui dame. ― Nella primavera scorsa (non so se tu l’abbia notato) Gino faceva a Donna Giulia una corte ardentissima, assai visibile. Alle Capannelle, la corte si mutò in flirtation assai vivace. Donna Giulia era sul punto di capitolare; e Gino, al solito, era tutto in fiamme. L’occasione si presentò. Giovanni Moceto partì per Firenze, a portare i suoi cavalli slombati sul turf delle Cascine. Una sera, una sera dei soliti mercoledì, anzi dell’ultimo mercoledì, Gino pensò che il gran momento era giunto; e aspettò che tutti a uno a uno se ne andassero e che il salone rimanesse vuoto e ch’egli finalmente rimanesse solo, con lei....

― Qui ― interruppe il Barbarisi ― ci vorrebbe ora Bommínaco. È inimitabile. Bisogna sentirgli fare, in napoletano, la descrizione dell’ambiente, e l’analisi del suo stato, e poi la riproduzione del momento psicologico e del fisiologico, com’egli dice, alla sua maniera. È d’una comicità irresistibile.

― Dunque ― seguitò Ruggero ― dopo il pre-