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ametista. Lunghe e sottili zone di vapori attraversavano i cipressi del Monte Mario, come capigliature fluenti in un pettine di bronzo. Prossimi, i pini del Monte Pincio alzavano li ombrelli dorati. Su la piazza l’obelisco di Pio VI pareva uno stelo d’àgata. Tutte le cose prendevano un’apparenza più ricca, a quella ricca luce autunnale.
― Divina Roma!
Egli non sapeva saziarsi dello spettacolo. Guardò passare una torma di chierici rossi, di sotto alla chiesa; poi, la carrozza d’un prelato, nera, con due cavalli neri dalle code prolisse; poi, altre carrozze, scoperte, che portavano signore e bimbi. Riconobbe la principessa di Ferentino con Barbarella Viti; poi, la contessa di Lucoli che guidava due poneys seguita dal suo cane danese. Un soffio dell’antica vita gli passò su lo spirito e lo turbò e gli diede un’agitazione di desiderii indeterminati.
Si ritrasse e si rimise a tavola. D’innanzi a lui il sole accendeva i cristalli e accendeva su la parete una saltazione di satiri intorno a un Sileno.
Il domestico annunziò:
― Il signor duca con due altri signori.
Ed entrarono il duca di Grimiti, Ludovico Barbarisi e Giulio Muséllaro, mentre Andrea si levava per farsi loro incontro. Tutt’e tre, l’un dopo l’altro, lo abbracciarono.
― Giulio! ― esclamò lo Sperelli, rivedendo l’amico dopo due anni e più. ― Da quanto sei a Roma?
― Da una settimana. Volevo scriverti da Schi-