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una passeggiata in carrozza per la via di Rovigliano. Siamo andate sole, in una carrozza scoperta. Io pensava, tremando: ― Ora le parlerò. ― Ma il tremito interno mi toglieva ogni coraggio. Aspettava ella forse che io parlassi? Non so.

Siam rimaste a lungo taciturne, ascoltando il trotto eguale de’ due cavalli, guardando gli alberi e le siepi che limitavano la via. Di tratto in tratto, con una frase breve o con un cenno, ella mi faceva notare una particolarità del paese autunnale.

Tutto l’umano incanto dell’Autunno si diffondeva in quell’ora. I raggi obliqui del vespro accendevano per la collina la sorda e armoniosa ricchezza dei fogliami prossimi a morire. Pe’l soffio costante del greco nella nuova luna, un’agonia precoce prende gli alberi delle terre litoranee. L’oro, l’ambra, il croco, il giallo di solfo, l’ocra, l’arancio, il bistro, il rame, il verdemare, l’amaranto, il paonazzo, la porpora, le tinte più disfatte, le gradazioni più violente e più delicate si mescolavano in un accordo profondo che nessuna melodia di primavera passerà mai di dolcezza.

Indicandomi un gruppo di robinie, ella ha detto: ― Guarda se non sembrano fiorite!

Già secche, biancheggiavano d’un bianco un po’ roseo, come grandi mandorli di marzo, contro il cielo turchino che già pendeva nel cinerino.

Dopo un intervallo di silenzio, ho detto io, per cominciare: ― Manuel verrà, certo, sabato. Aspetto per domani il suo telegramma. E domenica partiremo, col treno della mattina. Tu