Pagina:Il piacere.djvu/285


― 273 ―

7 ottobre. ― Io non ho che un solo pensiero, un solo desiderio, un solo proposito: partire, partire, partire.

Sono all’estremo delle forze. Io languo, io muojo del mio amore; e l’inaspettata rivelazione moltiplica le mie mortali tristezze. Che pensa ella di me? Che crede? Ella dunque lo ama? E da quando? Ed egli lo sa? O non ne ha pure un sospetto?...

Mio Dio, mio Dio! La ragione mi si smarrisce, le forze mi abbandonano; il senso della realtà mi sfugge. A intervalli il mio dolore ha una pausa, simile alle pause degli uragani quando le furie degli elementi si equilibrano in una terribile immobilità per irrompere poi con più violenza. Io rimango in una specie di stupefazione, con la testa pesante, con le membra stanche e rotte come se qualcuno mi avesse battuta; e mentre il dolore si raccoglie per darmi un nuovo assalto, io non riesco a raccogliere la mia volontà.

Che pensa ella di me? Che pensa? Che crede?

Esser disconosciuta da lei, dalla mia amica migliore, da quella che m’è più cara, da quella a cui il mio cuore fu sempre aperto! È la suprema amarezza; è la prova più crudele riserbata da Dio a chi ha fatto del sacrificio la legge della sua vita.

Bisogna che io le parli, prima di partire. Bisogna ch’ella sappia tutto da me, ch’io sappia tutto da lei. Questo è il dovere.


Notte. ― Ella, verso le cinque, m’ha proposto