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gni risplendevano d’una luce intensa e profonda, come frammenti d’un cielo assai più puro di quello che si diffondeva sul nostro capo.
Senza aspettare la mia risposta, egli disse a Francesca:
― Noi attraversiamo la pineta. Ci ritroveremo su la strada, al ponte del Convito, dall’altra parte.
E trattenne il cavallo.
Perchè acconsentii? Perchè entrai con lui? Io aveva nelli occhi una specie di abbagliamento; mi pareva d’essere sotto l’influenza d’una fascinazione confusa; mi pareva che quel paesaggio, quella luce, quel fatto, tutta quella combinazione di circostanze non fossero per me nuovi ma già un tempo esistiti, quasi direi in una mia esistenza anteriore, ed ora riesistenti.... L’impressione è inesprimibile. Mi pareva dunque che quell’ora, che quei momenti, essendo stati già da me vissuti, non si svolgessero fuori di me, indipendenti da me, ma mi appartenessero, ma avessero con la mia persona un legame naturale e indissolubile così ch’io non potessi sottrarmi a riviverli in quel dato modo ma dovessi anzi necessariamente riviverli. Io aveva chiarissimo il sentimento di questa necessità. L’inerzia della mia volontà era assoluta. Era come quando un fatto della vita ritorna in un sogno con qualche cosa di più della verità, e di diverso dalla verità. Non riesco nè meno a rendere una minima parte di quel fenomeno straordinario.
E una segreta rispondenza, un’affinità misteriosa era tra l’anima mia e il paesaggio. L’ima-