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cominciato un di que’ colloqui di silenzio, ove l’anima esala l’Ineffabile e intende il murmure dei pensieri. Egli mi diceva cose che mi facevano languir di dolcezza sopra il cuscino: cose che la sua bocca non potrà mai ripetermi e il mio orecchio non potrà mai udire.

D’innanzi, i cipressi immobili, leggeri alla vista quasi fossero immersi in un etere sublimante, accesi dal sole, parevano portare una fiamma alla sommità, come i torchi votivi. Il mare aveva il color verde d’una foglia d’aloe, e qua e là il color mavì d’una turchina liquefatta: una indescrivibile delicatezza di pallori, una diffusion di luce angelicata, ove ogni vela dava imagine d’un angelo che nuotasse. E la concordia dei profumi illanguiditi dall’Autunno era come lo spirito e il sentimento di quello spettacolo pomeridiano.

Oh morte serena di settembre!

Anche questo mese è finito, è perduto, è caduto nell’abisso. Addio.

Una tristezza immensa mi opprime. Quanta parte di me porta seco questa parte di tempo! Ho vissuto più in quindici giorni che in quindici anni; e mi sembra che nessuna delle mie lunghe settimane di dolore eguagli in acutezza di spasimo questa breve settimana di passione. Il cuore mi duole; la testa mi si perde; una cosa oscura e bruciante è in fondo a me, una cosa ch’è apparsa d’improvviso come un’infezione di morbo e che incomincia a contaminarmi il sangue e l’anima, contro ogni volontà, contro ogni rimedio: il Desiderio.

Io n’ho vergogna e raccapriccio, come d’un