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grifi, di mille mostri e di mille fiori; e un ostensorio d’argento dorato, smaltato, intagliato e cesellato, di foggia gotico―bizantina con un presentimento della Rinascenza, opera del Gallucci, artefice quasi ignoto, ch’è un gran precursore di Benvenuto....

Egli si rivolgeva a me, parlando. È strano come io ricordo esattamente tutte le sue parole. Potrei scrivere per intera la sua conversazione, con le particolarità più insignificanti e minute; se ci fosse un mezzo, potrei riprodurre ogni modulazione della sua voce.

Egli ci ha mostrato due o tre piccoli disegni a matita, sul suo taccuino. Poi ha seguitato a parlare delle meraviglie di Vicomìle, con quel calore ch’egli ha quando parla di cose belle, con quell’entusiasmo d’arte, ch’è una delle sue più alte seduzioni.

― Ho promesso al Canonico che sarei tornato domenica. Andremo; è vero, Francesca? Bisogna che Donna Maria conosca Vicomìle.

Oh, il mio nome su la sua bocca! Se ci fosse un modo, potrei riprodurre esattamente l’attitudine, l’apertura delle sue labbra nel profferire ciascuna sillaba delle due parole: ― Donna Maria. ― Ma non mai potrei esprimere la mia sensazione; non potrei mai ridire tutto ciò che di sconosciuto, d’inopinato, d’insospettato si va risvegliando nel mio essere alla presenza di quell’uomo.

Siamo rimasti là seduti, fino all’ora del pranzo. Francesca pareva, contro il suo solito, un poco malinconica. A un certo punto, il silenzio è caduto su noi, gravemente. Ma tra lui e me è in-