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scono e impietosiscono fin nell’intimo spirito; e s’imprimono per sempre nella memoria, come uno spettacolo di tristezza umana veduto nella realità della vita, nella realità della morte.

A una a una, oggi, passavano le donne dei Primitivi, sotto i nostri occhi. Io e Francesca eravamo sedute in un divano basso, avendo d’innanzi a noi un gran leggío sul quale posava la custodia di cuoio con i disegni che il disegnatore, seduto incontro, svolgeva lentamente, comentando. Ad ogni tratto, io vedevo la sua mano prendere il foglio e posarlo su l’altra faccia della custodia con una delicatezza singolare. Perchè, ad ogni tratto, sentivo dentro di me un principio di brivido come se quella mano stesse per toccarmi?

A un certo punto, trovando forse incomoda la sedia, egli s’è messo in ginocchio sul tappeto e ha seguitato a svolgere. Parlando, si dirigeva quasi sempre a me; e non aveva l’aria di ammaestrarmi ma di ragionare con una egual conoscitrice; e in fondo a me si moveva un poco di compiacenza, mista di riconoscenza. Quando io faceva una esclamazione di meraviglia, egli mi guardava con un sorriso che ancora ho presente e che non so definire. Due o tre volte Francesca ha appoggiato il braccio su la spalla di lui, con familiarità, senza badarci. Vedendo la testa del primogenito di Mosè, presa dal fresco di Sandro Botticelli nella Cappella Sistina, ella ha detto: ― Ha un po’ della tua aria, quando sei malinconico. ― Vedendo la testa dell’arcangelo Michele, che è un frammento della Madonna di Pavia, del Perugino, ella ha