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Rivedrò la Loggia del Papa e la Fonte Gaja e il mio bel Duomo bianco e nero, la casa diletta della Beata Vergine Assunta, dove una parte dell’anima mia è ancora a pregare, accanto alla cappella Chigi, nel luogo che sa i miei ginocchi.
Ho sempre lucida nella memoria l’imagine del luogo; e quando tornerò m’inginocchierò nel punto preciso dove io soleva, esattamente, meglio che se ci fossero rimasti due cavi profondi. E là ritroverò quella parte dell’anima mia a pregare ancora, sotto la volta azzurra constellata che si specchia nel marmo come un cielo notturno in un’acqua tranquilla.
Nulla, certo, è mutato. Nella cappella preziosa, piena d’un’ombra palpitante, d’una oscurità animata da’ riflessi gemmei delle pietre, ardevano le lampade; e la luce pareva raccogliersi tutta nel breve cerchio d’olio in cui si nutriva la fiammella, come in un topazio limpido. A poco a poco, sotto il mio sguardo intento, il marmo effigiato prendeva un pallor men freddo, quasi direi un tepore d’avorio; a poco a poco entrava nel marmo la pallida vita delle creature celesti, e nelle forme marmoree si diffondeva la vaga trasparenza d’una carne angelicale.
Quanto era ardente e spontanea la mia preghiera! S’io leggeva la Filotea di San Francesco, mi sembrava che le parole scendessero sul mio cuore come le lacrime di miele, come stille di latte. S’io mi metteva in meditazione, mi sembrava di camminare per le vie segrete dell’anima come per un giardino di delizia ove gli usignoli cantassero su gli alberi fiorenti e le colombe tubassero in riva ai ruscelli della Grazia divina.