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lita a vederla, l’ho trovata che dormiva ma con le ciglia umide come s’ella avesse pianto. Povero amore! Dorothy m’ha detto che la mia voce giungeva fin qui distintamente e che Delfina s’è scossa dal primo sopore e s’è messa a singhiozzare e voleva discendere.

Sempre, quando io canto, ella piange.

Ora dorme; ma di tratto in tratto il suo respiro divien più vivo, somiglia un singhiozzo spento, e mette nel mio stesso respiro un affanno vago, quasi un bisogno di rispondere a quel singhiozzo inconscio, a quella pena che non s’è acquietata nel sonno. Povero amore!

Chi suona, giù, il pianoforte? Qualcuno accenna, con la sordina, la gavotta di Luigi Rameau, una gavotta piena di affascinante malinconia, quella ch’io sonavo dianzi. Chi può essere? Francesca è risalita con me; è tardi.

Mi sono affacciata alla loggia. La sala del vestibolo è buia; è chiara soltanto la sala attigua dove il marchese e Manuel giocano ancora.

La gavotta cessa. Qualcuno scende per la scala, nel giardino.

Mio Dio, perchè son così attenta, così vigilante, così curiosa? Perchè i rumori mi scuotono così a dentro, questa notte?

Delfina si sveglia, mi chiama.


17 settembre. ― Stamani è partito Manuel. Siamo stati ad accompagnarlo fino alla stazione di Rovigliano. Verso il 10 di ottobre egli tornerà a prendermi; e andremo a Siena, da mia madre. Io e Delfina rimarremo a Siena probabilmente fino all’anno nuovo: due o tre mesi.