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un uccello gorgheggia, con modulazioni canore, talvolta con successioni di suoni che non eran parole, ne’ quali esalavasi l’onda musicale già iniziata, come il fremito d’una corda nella pausa, quando in quello spirito infantile il legame tra il segno verbale e l’idea rimaneva interrotto.

Gli altri due non parlavano, nè ascoltavano. Ma pareva loro che quella cantilena coprisse i lor pensieri, il murmure de’ lor pensieri, poichè pensando essi avevan l’impressione come se qualche cosa di sonoro sfuggisse dall’intimo del lor cervello, qualche cosa che nel silenzio sarebbesi potuto fisicamente percepire; e, se Delfina per poco taceva, provavano uno strano senso d’inquietudine e di sospensione, come se il silenzio dovesse rivelare e quasi direi denudare l’anima loro.

Il viale delle Cento Fontane apparve in una prospettiva fuggente, ove gli spilli e gli specchi dell’acqua mettevano un fino luccichio vitreo, una mobile transparenza jalina. Un pavone, che stava posato su uno delli scudi, s’involò facendo cadere nella vasca sottostante qualche rosa sfogliata. Andrea riconobbe, alcuni passi più in là, la vasca innanzi a cui Donna Maria gli aveva detto: ― Udite? ―

Nel dominio dell’Erma l’odor del muschio non si sentiva più. L’Erma, cogitabonda sotto la ghirlanda, era tutta constellata dai raggi che penetravano tra gli intervalli de’ fogliami. I merli cantavano, rispondendosi.

Delfina, presa da un nuovo capriccio, disse:

― Mamma, rendimi la ghirlanda.

― No, lasciamola lì. Perchè la rivuoi?