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colti da un álbatro. La fatica e la corsa l’invermigliavano; molti pruni le restavano tra la lana della tunica; e qualche foglia le s’impigliava nella ribellion de’ capelli.
― Oh mamma, vieni, vieni meco!
Ella voleva trascinare la madre a cogliere gli altri frutti.
― Là giù, ce n’è un bosco; tanti tanti tanti. Vieni meco, mamma; vieni!
― No, amore; ti prego. È tardi.
― Vieni!
― Ma è tardi.
― Vieni! Vieni!
Donna Maria dall’insistenza fu costretta a cedere e a farsi condurre per mano.
― C’è una via per andare al bosco delli álbatri, senza passare nel folto ― disse Andrea.
― Hai inteso, Delfina? C’è una via migliore.
― No, mamma. Vieni meco!
Delfina la trasse tra gli allòri selvatici, dalla parte del mare. Andrea seguiva; ed era felice di poter guardare liberamente d’innanzi a sè la figura dell’amata, di poterla bevere con gli occhi, di poterne cogliere tutti i moti diversi e i ritmi sempre interrotti del passo sul pendio ineguale, tra gli ostacoli dei tronchi, tra gli intralci dei virgulti, tra le resistenze dei rami. Ma mentre i suoi occhi si pascevano di quelle cose, l’anima riteneva sopra tutte le altre un’attitudine, un’espressione. ― Oh il pallore, il pallore di dianzi quando egli aveva profferite le parole sommesse! E il suono indefinibile di quella voce che chiamava Delfina!