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lare, ella le metteva su la bocca le sue piccole mani per impedir che parlasse; e la faceva ridere; e poi la bendava con la treccia; e non voleva finire, accesa e inebriata dal gioco.
Guardandola, Andrea aveva l’impressione come s’ella con quegli atti scuotesse dalla madre e devastasse e disperdesse tutto ciò che nello spirito di lei la lettura de’ versi aveva forse fatto fiorire.
Quando finalmente Donna Maria riuscì a liberarsi dalla dolce tirannella, gli disse, leggendogli sul volto la contrarietà:
― Perdonatemi, Andrea. Delfina certe volte ha di queste follie.
Quindi, con una mano leggera, ricompose le pieghe della gonna. Era soffusa d’una tenue fiamma sotto gli occhi, e anche aveva il respiro un poco alenante. Soggiunse, sorridente d’un sorriso che in quella insolita animazione del sangue fu d’una luminosità singolare:
― E perdonatela, in compenso del suo augurio inconsapevole; perchè ella dianzi ha avuta l’inspirazione di mettere una corona nuziale su la vostra poesia che canta una comunione nuziale. Il simbolo è un suggello dell’alleanza.
― A Delfina e a voi, grazie ― rispose Andrea che si sentiva chiamar da lei per la prima volta non col titolo gentilizio ma col semplice nome.
Quella familiarità inaspettata e le parole buone gli rimisero nell’animo la confidenza. Delfina s’era allontanata per uno de’ viali, correndo.
― Questi versi dunque sono un documento spirituale ― seguitò Donna Maria. ― Me li darete, perchè io li conservi.