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― Voi gittatemi un madrigale ― rispose ella, per gioco, ritraendosi alquanto.

― Vado a scriverlo sul marmo d’un balaustro, all’ultima terrazza, in vostro onore. Venite a leggerlo, quando sarete pronta, poi.

Andrea seguitò a discendere lentamente le scale che conducevano all’ultima terrazza. In quel mattino di settembre, l’anima gli si dilatava col respiro. Il giorno aveva una specie di santità; il mare pareva risplendere di luce propria, come se ne’ fondi vivessero magiche sorgenti di raggi; tutte le cose erano penetrate di sole.

Andrea discendeva, di tratto in tratto soffermandosi. Il pensiero che Donna Maria fosse rimasta su la loggia a guardarlo gli dava un turbamento indefinito, gli metteva nel petto un palpito forte, quasi l’intimidiva, come s’ei fosse un giovinetto in sul primo amore. Provava una beatitudine ineffabile a respirare quella calda e limpida atmosfera ove respirava anch’ella, ove immergevasi anche il corpo di lei. Un’onda immensa di tenerezza gli sgorgava dal cuore spargendosi su gli alberi, su le pietre, sul mare, come su esseri amici e consapevoli. Egli era spinto come da un bisogno di adorazione sommessa, umile, pura; come da un bisogno di piegare i ginocchi e di congiungere le mani e di offerire quell’affetto vago e muto ch’egli non sapeva qual fosse. Credeva sentir venire a sè la bontà delle cose e mescersi alla sua bontà e traboccare. ― Dunque l’amo? ― si chiese; e non osò di guardar dentro e di riflettere, poichè temeva che quell’incanto delicato si dileguasse e si disperdesse come un sogno d’un’alba.