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duplice, androgìnica; di due timbri. Il timbro maschile, basso e un poco velato, s’ammorbidiva, si chiariva, s’infemminiva talvolta con passaggi così armoniosi che l’orecchio dell’uditore n’aveva sorpresa e diletto a un tempo e perplessità. Come quando una musica passa dal tono minore al tono maggiore o come quando una musica trascorrendo in dissonanze dolorose torna dopo molte battute al tono fondamentale, così quella voce ad intervalli faceva il cangiamento. Il timbro feminile appunto ricordava l'altra.

E il fenomeno era tanto singolare che bastava da solo ad occupare l’animo dell’uditore, indipendentemente dal senso delle parole. Le quali quanto più da un ritmo o da una modulazione acquistano di valor musicale, tanto più pèrdono di valore simbolico. L’animo infatti, dopo qualche minuto d’attenzione, si piegava al fascino misterioso; e rimaneva sospeso aspettando e desiderando la cadenza soave, come per una melodia eseguita da uno strumento.

― Cantate? ― chiese Andrea alla signora, quasi con timidezza.

― Un poco ― ella rispose.

― Canta, un poco ― la pregò Donna Francesca.

― Sì, ― consentì ella ― ma appena accennando, perchè proprio, da più d’un anno, ho perduta ogni forza.

Nella stanza attigua, Don Manuel giocava col marchese d’Ateleta, senza romore, senza motto. Nella sala la luce si diffondeva a traverso un gran paralume giapponese, temperata e rossa.