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chiama “il tatto„. Un delicato genio feminile erale di guida infallibile. Nelle sue relazioni con innumerevoli conoscenti d’ambo i sessi, ella sapeva sempre, in ogni circostanza, come contenersi; e non commetteva mai errori, non pesava mai su la vita altrui, non veniva mai inopportuna nè diveniva mai importuna, faceva sempre a tempo ogni suo atto e diceva a tempo ogni sua parola. Il suo contegno verso Andrea, in questo periodo di convalescenza un po’ strano e ineguale, non poteva essere, in verità, più squisito. Ella cercava in tutti i modi di non disturbarlo e di ottenere che nessuno lo disturbasse; gli lasciava pienissima libertà; mostrava di non accorgersi delle bizzarrie e delle malinconie; non l’infastidiva mai con domande indiscrete; faceva sì che la sua compagnia gli fosse leggera nelle ore obbligatorie; rinunziava perfino ai motti, in presenza di lui, per evitargli la fatica d’un sorriso forzato.
Andrea, che comprendeva quella finezza, era riconoscente.
Il 12 di settembre, dopo i sonetti dell’Erma, egli tornò a Schifanoja con una insolita letizia; incontrò Donna Francesca su la scala e le baciò le mani, dicendole con un tono di gioco:
― Cugina, ho trovato la Verità e la Via.
― Alleluja! ― fece Donna Francesca, levando le belle braccia rotonde. ― Alleluja!
Ed ella discese nei giardini e Andrea salì alle sue stanze, col cuor sollevato.
Dopo poco, egli udì battere leggermente all’uscio e la voce di Donna Francesca chiedere:
― Posso entrare?