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Poi non parlarono più; ma, guardandosi, sentivano negli orecchi un romore continuo che si prolungava indefinitamente portando seco una parte dell’essere loro, come se qualche cosa di sonoro sfuggisse dall’intimo del loro cervello e si spandesse ad empire tutta la campagna circostante.
Elena, sollevandosi, disse:
― Andiamo. Ho sete. Dove si può chiedere acqua?
Si diressero allora verso l’osteria romanesca, passato il ponte. Alcuni carrettieri staccavano i giumenti, imprecando ad alta voce. Il chiaror dell’occaso feriva il gruppo umano ed equino, con viva forza.
Come i due entrarono, nella gente dell’osteria non avvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uomini febricitanti stavano intorno a un braciere quadrato, taciturni e giallastri. Un bovaro, di pel rosso, sonnecchiava in un angolo, tenendo ancora fra i denti la pipa spenta. Due giovinastri, scarni e biechi, giocavano a carte, fissandosi nelli intervalli con uno sguardo pieno d’ardor bestiale. E l’ostessa, una femmina pingue, teneva fra le braccia un bambino, cullandolo pesantemente.
Mentre Elena beveva l’acqua nel bicchiere di vetro, la femmina le mostrava il bambino, lamentandosi.
― Guardate, signora mia! Guardate, signora mia!
Tutte le membra della povera creatura erano di una magrezza miserevole; le labbra violacee erano coperte di punti bianchicci; l’interno della