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terrazzo si prolungavano giù per il pendio arrestandosi ad altri ripiani sinchè terminavano quasi sul mare e da questa inferiore area presentavano alla vista una specie di settemplice serpeggiamento tra la verdura superba e tra i foltissimi rosai. Le meraviglie di Schifanoja erano le rose e i cipressi. Le rose, di tutte le qualità, di tutte le stagioni, erano a bastanza pour en tirer neuf ou dix muytz d’eaue rose, come avrebbe detto il poeta del Vergier d’honneur. I cipressi, acuti ed oscuri, più ieratici delle piramidi, più enigmatici degli obelischi, non cedevano nè a quelli della Villa d’Este nè a quelli della Villa Mondragone nè a quanti altri simili giganti grandeggiano nelle gloriate ville di Roma.

La marchesa d’Ateleta soleva passare a Schifanoja l’estate e parte dell’autunno; poichè ella, pur essendo tra le dame una delle più mondane, amava la campagna e la libertà campestre ed ospitare amici. Ella aveva usato ad Andrea infinite cure e premure, durante la malattia, come una sorella maggiore, quasi come una madre, senza stancarsi. Una profonda affezione la legava al cugino. Ella era per lui piena d’indulgenze e di perdoni; era un’amica buona e franca, capace di comprendere molte cose, pronta, sempre gaia, sempre arguta, a un tempo spiritosa e spirituale. Pur avendo varcata da circa un anno la trentina, conservava una mirabile vivacità giovenile e una grande piacenza, poichè possedeva il segreto della signora di Pompadour, quella beauté sans traits che può avvivarsi d’inaspettate grazie. Anche possedeva una virtù rara, quella che comunemente si