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nella finezza, nella cautela, nella sagacità. Questo suo intendimento gli pareva bene espresso in un sonetto d’un poeta contemporaneo che, per certa affinità di gusti letterarii e comunanza di educazione estetica, egli prediligeva.


Sarò come colui che si distende
sotto l’ombra d’un grande albero carco,
ormai sazio di trar balestra od arco;
e in su ’l capo il maturo frutto pende.

Non ei scuote quel ramo, nè protende
la man, nè veglia in su le prede a ’l varco.
Giace; e raccoglie con un gesto parco
i frutti che quel ramo a ’l suol rende.

Di tal soave polpa ei ne ’l profondo
non morde, a ricercar l’intima essenza,
perchè teme l’amaro; anzi la fiuta,

poi sugge, con piacer limpido, senza
avidità, nè triste nè giocondo.
La sua favola breve è già compiuta.


Ma la “ευλαβεια„, se può valere ad escludere in parte dalla vita il dolore, esclude anche ogni alta idealità. La salute dunque stava in una specie di equilibrio goethiano tra un cauto e fine epicureismo pratico e il culto profondo e appassionato dell’Arte.

― L’Arte! L’Arte! ― Ecco l’Amante fedele, sempre giovine, immortale; ecco la Fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa alli eletti; ecco il prezioso Alimento che fa l’uomo simile a un dio. Come aveva egli potuto bevere ad altre coppe dopo avere accostate le labbra a quell’una? Come aveva egli po-