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di grande signore. L’uno guardava l’altro entro gli occhi; e ciascuno provava internamente un indefinibile brivido alla vista dell’altrui carne nuda contro cui appuntavasi la lama sottile. Nel silenzio, udivasi il mormorio fresco della fontana misto al fruscio del vento su per i rosai rampicanti ove le innumerevoli rose bianche e gialle tremolavano.
― A loro! ― comandò il barone.
Andrea Sperelli aspettava dal Rútolo un attacco impetuoso; ma colui non si mosse. Per un minuto, ambedue rimasero a studiarsi, senza avere il contatto del ferro, quasi immobili. Lo Sperelli, chinandosi ancor più su’ garretti, in guardia bassa, si scoperse interamente, col portar la spada molto in terza; e provocò l’avversario, con l’insolenza degli occhi e col batter del piede. Il Rútolo venne innanzi con una finta di botta diritta, accompagnandola con una voce, alla maniera di certi spadaccini siciliani; e l’assalto incominciò.
Lo Sperelli non isviluppava alcuna azione decisiva, limitandosi quasi sempre alle parate, costringendo l’avversario a scoprire tutte le intenzioni, a esaurire tutti i mezzi, a svolgere tutte le varietà del gioco. Parava netto e veloce, senza ceder terreno, con una precision mirabile, come s’ei fosse su la pedana, in un’academia di scherma, d’innanzi a un fioretto innocuo; mentre il Rútolo attaccava con ardore, accompagnando ogni botta con un grido spento, simile a quello degli abbattitori d’alberi in esercitar l’accetta.
― Alt! ― comandò il Santa Margherita, a’ cui