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al polso; esaminò la lama e la punta delle due spade; non dimenticò alcuna cautela, alcuna minuzia.
Quando fu pronto, disse:
― Andiamo. Sarà bene che ci troviamo sul terreno prima degli altri. Il medico?
― Aspetta di là.
Giú per le scale, egli incontrò il duca di Grimiti che veniva anche da parte della marchesa d’Ateleta.
― Vi seguirò nella villa, e porterò poi súbito la notizia a Francesca ― disse il duca.
Discesero tutti insieme. Il duca salì nel suo legnetto, salutando. Gli altri salirono nella carrozza coperta. Andrea non ostentava il buon umore, perchè i motti prima d’un duello grave gli parevano di pessimo gusto; ma era tranquillissimo. Fumava, ascoltando il Santa Margherita e il Barbarisi discutere, a proposito d’un recente caso avvenuto in terra di Francia, se fosse o non fosse lecito adoperar la mano sinistra contro l’avversario. Di tratto in tratto, chinavasi allo sportello per guardar nella via.
Roma splendeva, nel mattino di maggio, abbracciata dal sole. Lungo la corsa, una fontana illustrava del suo riso argenteo una piazzetta ancor nell’ombra; il portone d’un palazzo mostrava il fondo d’un cortile ornato di portici e di statue; dall’architrave barocco d’una chiesa di travertino pendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponte apparve il Tevere lucido fuggente tra le case verdastre, verso l’isola di San Bartolomeo. Dopo un tratto di salita, apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta