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pallidissimo, fuori di sè, fissandolo di sotto ai sopraccigli corrugati.
― Mi pare ― rispose lo Sperelli, senza turbarsi ― che voi mi parliate in un tono assai vivo, caro marchese.
― Ebbene?
― Pensate del mio riso quel che più vi piace.
― Penso che è sciocco.
Lo Sperelli balzò in piedi, fece un passo, e levò contro Giannetto Rútolo il frustino. Paolo Caligáro giunse a trattenergli il braccio, per prodigio. Altre parole irruppero. Sopravvenne Don Marcantonio Spada; udì l’alterco, e disse:
― Basta, figliuoli. Sapete ambedue quel che dovrete fare domani. Ora, dovete correre.
I due avversari compirono la lor vestizione, in silenzio. Quindi uscirono. Già la notizia del litigio s’era sparsa nel recinto e saliva su per le tribune, ad accrescere l’aspettazion della corsa. La contessa di Lúcoli, con raffinata perfidia, la diede a Donna Ippolita Albónico. Questa, non lasciando trasparire alcun turbamento, disse:
― Mi dispiace. Parevano amici.
La diceria si diffondeva, trasformandosi, per le belle bocche feminee. Intorno ai publici scommettitori ferveva la folla. Miching Mallecho, il cavallo del conte d’Ugenta, e Brummel, il cavallo del marchese Rútolo, erano i favoriti; venivano poi Satirist del duca di Beffi e Carbonilla del conte Caligáro. I buoni conoscidori però diffidavano de’ due primi, pensando che la concitazion nervosa dei due cavalieri avrebbe certamente nociuto alla corsa.