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come un’arena. Davanti, a poca distanza, camminava l’altro, con un passo disinvolto e sicuro. La persona alta e snella, nell’abito cinerino, aveva quella particolare inimitabile eleganza che sol può dare il lignaggio. Egli fumava. Giannetto Rútolo, venendo dietro, sentiva l’odore della sigaretta, ad ogni buffo di fumo; ed era per lui un fastidio insopportabile, un disgusto che gli saliva dalle viscere, come contro un veleno.

Il duca Beffi e Paolo Caligáro stavano su la soglia, già in assetto di corsa. Il duca si chinava su le gambe aperte, con un movimento ginnico, per provare l’elasticità de’ suoi calzoni di pelle o la forza de’ suoi ginocchi. Il piccolo Caligáro imprecava alla pioggia della notte, che aveva reso pesante il terreno.

― Ora ― disse allo Sperelli ― tu hai molte probabilità, con Miching Mallecho.

Giannetto Rútolo udì quel presagio, ed ebbe al cuore una fitta. Egli riponeva nella vittoria una vaga speranza. Nella sua imaginazione vedeva gli effetti d’una corsa vinta e d’un duello fortunato, contro il nemico. Spogliandosi, ogni suo gesto tradiva la preoccupazione.

― Ecco un uomo che, prima di montare a cavallo, vede aperta la sepoltura ― disse il duca di Beffi, posandogli una mano su la spalla, con un atto comico. ― Ecce homo novus.

Andrea Sperelli, il quale in tal momento aveva gli spiriti gai, ruppe in un di que’ suoi franchi scoppi di risa, ch’erano la più seducente effusione della sua giovinezza.

― Perchè ridete, voi? ― gli chiese Rútolo,