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sorpreso negli occhi dell’amata, che si posavano su lo Sperelli, quello sguardo ch’egli ben conosceva poichè n’era stato, un tempo, illuminato di speranza. Gli parve che tutto ruinasse intorno a lui. Un lungo amore finiva, troncato da quello sguardo, irreparabilmente. Il sole non era più il sole; la vita non era più la vita.
La tribuna si ripopolava rapidamente, già che il segnale della terza corsa era prossimo. Le dame salivano in piedi su i sedili. Un mormorio correva lungo i gradi, simile a un vento sopra un giardino in pendio. La campanella squillò. I cavalli partirono come un gruppo di saette.
― Correrò in onor vostro, Donna Ippolita ― disse Andrea Sperelli all’Albonico, prendendo congedo per andare a prepararsi alla seguente corsa, ch’era di gentiluomini. ― Tibi, Hippolyta, semper!
Ella gli strinse la mano, forte, per augurio, non pensando che anche Giannetto Rútolo stava fra i contenditori. Quando vide, poco oltre, l’amante pallido scender giù per la scala, l’ingenua crudeltà dell’indifferenza le regnava nei belli occhi oscuri. Il vecchio amore le cadeva dall’anima, pari a una spoglia inerte, per l’invasione del nuovo. Ella non apparteneva più a quell’uomo; non gli era legata da nessun legame. Non è concepibile come prontamente e intieramente rientri nel possesso del proprio cuore la donna che non ama più.
“Egli me l’ha presa„ pensò colui, camminando verso la tribuna del Jockey―club, su l’erba che parevagli s’affondasse sotto i suoi piedi