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― Scendiamo ― ella soggiunse, non accorgendosi degli occhi seguaci di Giannetto Rútolo che stava appoggiato alla ringhiera della scala.

Quando, per discendere, passarono d’innanzi a colui, lo Sperelli disse:

― Addio, marchese, a poi. Correremo.

Il Rútolo s’inchinò profondamente a Donna Ippolita; e una súbita fiamma gli colorò la faccia. Eragli parso di sentire nel saluto del conte una leggera irrisione. Rimase alla ringhiera, seguendo sempre con gli occhi la coppia nel recinto. Visibilmente, soffriva.

― Rútolo, alle vedette! ― fecegli, con un riso malvagio, la contessa di Lúcoli passando a braccio con Don Filippo del Monte, giù per la scala di ferro.

Egli sentì la punta nel mezzo del cuore. Donna Ippolita e il conte d’Ugenta, dopo essere giunti fin sotto la specola dei giudici, tornavano verso la tribuna. La dama teneva il bastone dell’ombrellino su la spalla, girandolo fra le dita; la cupola bianca le roteava dietro la schiena, come un’aureola, e i molti merletti s’agitavano e si sollevavano incessantemente. Entro quel cerchio mobile ella di tratto in tratto rideva alle parole del giovine; e ancora un lieve rossore tingeva la nobile pallidezza del suo volto. Di tratto in tratto, i due si soffermavano.

Giannetto Rútolo, fingendo di voler osservare i cavalli che entravano nella pista, volse il binocolo fra i due. Visibilmente, gli tremavano le mani. Ogni sorriso, ogni gesto, ogni attitudine di Ippolita gli dava un atroce dolore. Quando abbassò il binocolo, egli era assai smorto. Aveva