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ardita, corrugava le sopracciglia mentre un sorriso involontario le sforzava la bocca; e la sua testa, sotto il cappello ornato di piume bianche, sul fondo dell’ombrellino ornato di merletti bianchi, era in un momento di singolare armonia.
― Tibi, Hippolyta! Dunque venite? Io vi aspetterò tutto il giorno, dalle due fino a sera. Va bene?
― Ma siete pazzo?
― Di che temete? Io giuro alla Maestà Vostra di non toglierle nè pure un guanto. Rimarrà seduta come in un trono, secondo il suo regal costume; e, anche prendendo una tazza di te, potrà non posare lo scettro invisibile che porta sempre nella destra imperiosa. È concessa la grazia, a questi patti?
― No.
Ma ella sorrideva, poichè compiacevasi di sentir rilevare quell’aspetto di regalità ch’era la sua gloria. E Andrea Sperelli continuava a tentarla, sempre in tono di scherzo o di preghiera, unendo alla seduzione della sua voce uno sguardo continuo, sottile, penetrante, quello sguardo indefinibile che sembra svestire le donne, vederle ignude a traverso le vesti, toccarle su la pelle viva.
― Non voglio che mi guardiate così ― disse Donna Ippolita, quasi offesa, con un lieve rossore.
Su la tribuna eran rimaste poche persone. Signore e signori passeggiavano su l’erba, lungo lo steccato, o circondavano il cavallo vittorioso, o scommettevano coi publici scommettitori urlanti, sotto l’incostanza del sole che appariva e spariva fra i molti arcipelaghi delle nuvole.