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riaprì per qualche tempo la ferita) piacevasi di sovrapporre alla nudità presente le evocate nudità di Elena e di servirsi della forma reale come d’un appoggio sul qual godere la forma ideale. Nutriva l’imagine con uno sforzo intenso, finchè l’imaginazione giungeva a possedere l’ombra quasi creata.

Pur tuttavia egli non aveva culto per le memorie dell’antica felicità. Talvolta, anzi, quelle gli davano un appiglio a una qualunque avventura. Nella Galleria Borghese, per esempio, nella memore sala degli specchi, egli ottenne da Lilian Theed la prima promessa; nella Villa Medici, su per la memore scala verde che conduce al Belvedere, egli intrecciò le sue dita alle lunghe dita d’Angélique Du Deffand; e il piccolo teschio d’avorio appartenuto al cardinale Immenraet, il giojello mortuario segnato del nome d’Ippolita oscura, gli suscitò il capriccio di tentare Donna Ippolita Albónico.

Questa dama aveva nella sua persona una grande aria di nobiltà, somigliando un poco a Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II de’ Medici, nel ritratto di Giusto Suttermans, ch’è in Firenze, dai Corsini. Amava gli abiti suntuosi, i broccati, i velluti, i merletti. I larghi collari medicei parevano la foggia meglio adatta a far risaltare la bellezza della sua testa superba.

In una giornata di corse, su la tribuna, Andrea Sperelli voleva ottenere da Donna Ippolita ch’ella andasse la dimane al palazzo Zuccari per prendere il misterioso avorio dedicato a lei. Ella si schermiva, ondeggiando tra la prudenza e la curiosità. Ad ogni frase del giovine un po’