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di non amarla più, di non averla mai amata; ed era in lui un fenomeno non nuovo questa cessazion momentanea d’un sentimento, questa specie di sincope spirituale che, per esempio, gli rendeva completamente estranea in mezzo alla gente la donna diletta e gli permetteva d’assistere a un gajo pranzo un’ora dopo aver bevute le lacrime di lei. Ma quegli oblii non duravano. La primavera romana fioriva con inaudita letizia: la città di travertino e di mattone sorbiva la luce, come un’avida selva; le fontane papali si levavano in un cielo più diafano d’una gemma; la piazza di Spagna odorava come un roseto; e la Trinità de’ Monti, in cima alla scala popolata di putti, pareva un duomo d’oro.

Alle incitazioni che gli venivano dalla nuova bellezza di Roma, quanto in lui rimaneva del fascino di quella donna, nel sangue e nell’anima, ravvivavasi e raccendevasi. Ed egli era turbato, fin nel profondo, da invincibili angosce, da implacabili tumulti, da indefinibili languori, che somigliavano un poco quelli della pubertà. Una sera, in casa Dolcebuono, dopo un tè, essendo rimasto ultimo nel salone tutto pieno di fiori e ancor vibrante d’una Cachoucha del Raff, egli parlò d’amore a Donna Bianca; e non se ne pentì, nè in quella sera nè in seguito.

La sua avventura con Elena Muti era ormai notissima come, o prima o poi, o più o meno, nella società elegante di Roma e in ogni altra società son note tutte le avventure e tutte le flirtations. Le precauzioni non valgono. Ciascuno ivi è così buon conoscitore della mimica erotica, che gli basta sorprendere un gesto o