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Ella esitò, prima di rispondere. Teneva li occhi abbassati sul collo dell’animale, accarezzandolo col pomo del frustino, irresoluta e pallida.
― A che pensi? ― ripetè il giovine.
― E bene, te lo dirò. Io parto mercoledì, non so per quanto tempo; forse per molto, per sempre; non so... Quest’amore si rompe, per colpa mia; ma non mi chiedere come, non mi chiedere perchè, non mi chiedere nulla: ti prego! Non potrei risponderti.
Andrea la guardò, quasi incredulo. La cosa gli pareva così impossibile che non gli fece dolore.
― Tu dici per gioco; è vero Elena?
Ella scosse la testa, negando, poichè le si era chiusa la gola; e subitamente spinse al trotto il cavallo. Dietro di loro, le campane di Santa Sabina e di Santa Prisca cominciarono a suonare, nel crepuscolo. Essi trottavano in silenzio, suscitando li echi sotto li archi, sotto i templi, nelle ruine solitarie e vacue. Lasciarono a sinistra San Giorgio in Velabro che aveva ancora un bagliore vermiglio sui mattoni del campanile, come nel giorno della felicità. Costeggiarono il Foro romano, il Foro di Nerva, già occupati da un’ombra azzurrognola, simile a quella de’ ghiacciai nella notte. Si fermarono all’Arco dei Pantani, dove li attendevano gli staffieri e le carrozze.
Appena fuor di sella, Elena tese la mano ad Andrea, evitando di guardarlo nelli occhi. Pareva ch’ella avesse gran fretta di allontanarsi.
― E bene? ― le chiese Andrea, aiutandola a montar nel legno.
― A domani. Stasera, no.