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ma indistruttibile. Lo splendor sincero della giovinezza era, appunto, la qualità sua più preziosa. Alla gran fiamma della passione, quanto in lui era più falso, più tristo, più arteficiato, più vano, si consumava come un rogo. Dopo la resoluzion delle forze, prodotta dall’abuso dell’analisi a dall’azion separata di tutte le sfere interiori, egli tornava ora all’unità delle forze, dell’azione, della vita; riconquistava la confidenza e la spontaneità; amava e godeva giovenilmente. Certi suoi abbandoni parevano d’un fanciullo inconsapevole; certe sue fantasie erano piene di grazia, di freschezza e di ardire.

― Qualche volta ― gli diceva Elena ― la mia tenerezza per te si fa più delicata di quella d’un amante. Io non so... Diventa quasi materna.

Andrea rideva, perchè ella era maggiore a pena di tre anni.

― Qualche volta ― egli diceva a lei ― la comunione del mio spirito col tuo mi par così casta ch’io ti chiamerei sorella, baciandoti le mani.

Queste fallaci purificazioni ed elevazioni del sentimento avvenivano sempre nei languidi intervalli del piacere, quando sul riposo della carne l’anima provava un bisogno vago d’idealità. Allora, anche, risorgevano nel giovine le idealità dell’arte ch’egli amava; e gli tumultuavano nell’intelletto tutte le forme un tempo create e contemplate, chiedendo di uscire; e le parole del monologo goethiano l’incitavano. “Che può sotto i tuoi occhi l’accesa natura? Che può la forma dell’arte intorno a te, se la passionata forza creatrice non t’empie l’anima e non affluisce alla punta delle tue dita, inces-