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un miracoloso tessuto d’istorie, di favole, di sogni, di capricci, di artifizi e di ardiri; la stanza di Galatea, per ove si diffonde non so che pura freschezza e che serenità inestinguibile di luce, e il gabinetto dell’Ermafrodito, ove lo stupendo mostro, nato dalla voluttà d’una ninfa e d’un semidio, stende la sua forma ambigua tra il rifulgere delle pietre fini; tutte le solitarie sedi della Bellezza conoscevano il loro amore.
Essi comprendevano l’alto grido del poeta: “Eine Welt zwar bist Du, o Rom! Tu sei un mondo, o Roma! Ma senza l’amore il mondo non sarebbe il mondo, Roma stessa non sarebbe Roma.„ E la scala della Trinità, glorificata dalla lenta ascensione del Giorno, era la scala della Felicità, per l’ascensione della bellissima Elena Muti.
Elena spesso piacevasi di salire per quei gradini al buen retiro del palazzo Zuccari. Saliva piano, seguendo l’ombra; ma l’anima sua correva rapida alla cima. Ben molte ore gaudiose misurò il piccolo teschio d’avorio dedicato a Ippolita, che Elena talvolta accostava all’orecchio con un gesto infantile, mentre premeva l’altra guancia sul petto dell’amante, per ascoltare insieme la fuga delli attimi e il battito di quel cuore. Andrea le pareva sempre nuovo. Talvolta, ella rimaneva quasi attonita d’innanzi all’infaticabile vitalità di quello spirito e di quel corpo. Talvolta, le carezze di lui le strappavano un grido in cui esalavasi tutto il terribile spasimo dell’essere sopraffatto dalla violenza della sensazione. Talvolta, fra le braccia di lui, la occupava una specie di torpore quasi direi veg-