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discesa barbarica d’uomini bestiali e di giumenti enormi, quelle grida, quelle canzoni, quelle bestemmie esasperavano la sua tristezza, gli suscitavano nel cuore un timor vago, non so che presentimento tragico.

Una carrozza chiusa usciva dal giardino. Egli vide chinarsi al cristallo un volto di donna, in atto di saluto; ma non lo riconobbe. Il palazzo levavasi d’innanzi a lui, ampio come una reggia; le vetrate del primo piano brillavano di riflessi violacei; su la sommità indugiava un bagliore fievole; dal vestibolo usciva un’altra carrozza chiusa.

“Se potessi vederla!„ egli pensò, soffermandosi. Rallentava il passo, per prolungare l’incertezza e la speranza. Ella gli pareva assai lontana, quasi perduta, in quell’edifizio così vasto.

La carrozza si fermò; e un signore mise il capo fuori dello sportello, chiamando:

― Andrea!

Era il duca di Grimiti, un parente.

― Vai dalla Scerni? ― chiese colui con un sorriso fine.

― Sì, ― rispose Andrea ― a prendere notizie. Tu sai, è malata.

― Lo so. Vengo di là. Sta meglio.

― Riceve?

― Me, no. Ma potrà forse ricever te.

E il Grimiti si mise a ridere maliziosamente, tra il fumo della sua sigaretta.

― Non capisco ― fece Andrea, serio.

― Bada; si dice già che tu sia in favore. L’ho saputo iersera, in casa Pallavicini; da una tua amica: te lo giuro.