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guantate delle dame premevano la spalla dei cavalieri; le teste ingemmate si curvavano o si ergevano; certe bocche semiaperte brillavano come la porpora; certe spalle nude luccicavano sparse d’un velo d’umidore; certi seni parevano irrompere dal busto, sotto la veemenza dell’ansia.

― Non ballate, Sperelli? ― chiese Gabriella Barbarisi, una fanciulla bruna come l'oliva speciosa, mentre passava a braccio d’un danzatore, agitando con la mano il ventaglio e col sorriso un neo ch’ella aveva in una fossetta presso la bocca.

― Sì, più tardi ― rispose Andrea. ― Più tardi.

Incurante delle presentazioni e dei saluti, egli sentiva crescere il suo tormento nell’attesa inutile; e girava di sala in sala alla ventura. Il “forse„ gli faceva temere ch’Elena non venisse. ― E s’ella proprio non veniva? Quando l’avrebbe egli riveduta? ― Passò Donna Bianca Dolcebuono; e, senza sapere perchè, egli le si mise al fianco dicendole molte frasi cortesi, provando quasi un poco di sollievo in compagnia di lei. Avrebbe voluto parlarle di Elena, interrogarla, rassicurarsi. L’orchestra diè principio a una mazurka assai molle; e la contessa fiorentina col suo cavaliere entrò nella danza.

Allora Andrea si volse a un gruppo di giovini signori, che stava presso una porta. Eravi Ludovico Barbarisi, eravi il duca di Beffi, con Filippo del Gallo, con Gino Bomminaco. Guardavano le coppie girare e malignavano un po’ grossolanamente. Il Barberisi raccontava d’aver