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ritrasse inorridito, ed in folla gli sorsero in mente le immagini della sua povera ed infelice madre, della sua sorella, della sua fidanzata; pensò al loro dolore, pensò che poteva esser loro utile abbandonando un’arte che dopo la morte del padre suo ei non poteva più esercitare, e che facendo abnegazione di sè stesso ei poteva vivere ancora per il loro vantaggio. Pose una mano sul cuore a frenarne i violenti bàttiti, e facendo di sè magnanimo sacrifizio propose a sè stesso di potere con un sollecito e sicuro guadagno essere il sostegno della sua famiglia.

Camminò tutta la notte agitatissimo lungo l’Arno, e quando fu giorno si diresse alla volta del suo studio per dare un ultimo addio ai suoi lavori, e quindi partecipare alla famiglia la sua irrevocabile risoluzione. Ma la vista dei suoi quadri, delle sue opere incompiute, ridestò nella sua povera anima una nuova e tremenda battaglia tra l’amor dell’arte e l’amor filiale. Quel ch’ei patisse allora non si può descrivere: un sudore gelido gli bagnava la fronte, un sorriso d’amarezza gli sfiorava le labbra scolorite, dagli occhi innavvertite gli cadavano le lacrime, ed egli ancora non sapeva risolversi ed abbandonare tutte le illusioni, tutte le speranze, tutti i fantasmi di gloria che avevano abbellita la sua giovinezza!


III.


Più ore eran passate di questa angoscia mortale, allorchè sentì bussare leggermente alla porta. Aprì, ed il conte S.... si fece avanti, il quale con modi cortesi gli domandò: — Siete voi il giovane Giacomo M....? — Appunto signore. — Ebbene, io so che state facendo un quedro; vorreste mostrarmelo? Io amo molto i primi lavori dei giovani, e desidero d’incoraggiarli. Giacomo pieno di una lieta