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Estr. dalle Letture di Famiglia

Marzo, 1864. — T. XV.


IL PATRIZIO E L’ARTISTA




I.


Oppresso da domestiche sventure, travagliato nella salute il conte S... aveva spatriato da Milano, città per lui di troppe triste rimembranze, ed aveva stabilita la sua dimora in Firenze. Quivi adoperava le molte sue ricchezze per la morte del suo unico figliuolo divenutegli omai superflue, in opere di vera beneficienza. Il suo cuore generoso non trovava conforto se non asciugando una lacrima, rendendo la pace e la tranquillità ad un’infelice famiglia; e le benedizioni di tanti ritornati per lui alle speranze e alle gioje della vita erano la più bella ricompensa e la più dolce soddisfazione alla sua instancabile carità.

Dalla parte posteriore del suo vasto palazzo, che dava su di un giardino, fra le case che sorgevano dirimpetto, v’era il modesto studio di un giovane artista. Declinava a sera uno dei più bei giorni di Maggio. Solo, immobile innanzi a una tela appena sbozzata sta l’artista, collo sguardo fisso, raggiante di letizia, colla bocca sorridente. Il suo cuore batte di un palpito nuovo, accelerato; la sua mente è come assorta in un’estasi dolcissima, una commozione crescente tutto l’invade, egli vagheggia quel divino archetipo che lenta riprodur sulla tela. Già coll’accesa fantasia egli vede muovere, vede animarsi, parlare le figure che soltanto ha tracciato; ei già le vede riprodurre vivamente quei sentimenti, quegli affetti che chiude dentro di sè, egli intravede l’onore che dal suo lavoro gli