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SCENA SESTA. 47 Sold Poiché fiam gionti al diffamalo Monte, Rompi /« al deliro,e tu al finifiro ladro £ le gambe,t It braccia j * quel dt me\p La/ciatelo à co/iti, che fe ne sfami.
Mar. Ceniti /fidalo,il mio TigUuol già ì morto; £ Dio sà con che lungo ajpro martirt, Ceffìno dunque i fiuot tormenti homai : Rietà ti motta al genero/o core Vna vtdoua madre,vn figlio morto.
Sold. Per fodisfar cofiei,che mi filà intorno , Con quefta lancia io vò ferirgli il fello.
Mif. Te ne di[gratio:altro che lancia io volft.
Mar. Ferire vn morto,à che ti gioita,ò figlio?
Se feignerrier di Ce far e, non fai Che il vincitor (opra il nemico morto Spxrgè pitto fe lagrime fouente, j. piange quel, ch’egli medefmo ve cife ?
Tu’lferifct, ei nó'lfinte-, Fi non fi duole,e tu refli crudele; E mal pago colini, eh' ad altro attende; F in mi mefchina in tanto Crefce il martir,enfee la doglia t'Ipianto.
Sold. Donna, « for\a ch’io’l fatela, F tu foffnr lo dei, che'l minor male Ombra hà di bene, e ti potrei far psggio.
Mar. £ che trcuar potrai Dentro quel petto mgeliduo,! morto t F fe vuoi fangue-, evita, Feri fei il cor materno, Ch’ancor alberga nel mio petto l'Almi ; O' fie pur brami à vn morto Tor di noucla vita ; ancor che paia impoffibil qmfi’ofra -, oiivn bel modo Ch'io '
