Questa pagina è stata trascritta ma deve essere formattata o controllata. |
SCENA PRIMA.
Pur vi riveggio, e à la mia lunga notte
Succede non pensato, amico giorno.
Sò pur l'alta cagion di tanti eccessi;
So donde vegno,e dove vado, e à quanti
Hò da scovrire altissimi segreti.
Quì presso è il monte fortunato, e santo
Ove pende la vita estinta, e morta.
Ma son tenebre ancor per quella parte;
Benche sia altrove rischiarito il giorno;
Chi forse non è degno occhio mortale
Veder del suo Signor le membra ignude,
O chiunque tu sei,{che’l Ciel non vuole,
Ch’altri’l tuo nome, e la tua stirpe impari)
Fermati alquanto, e discorriam tra noi
Delle nostre venture: che’l piacere
Cresce, mentre si narra; ancor che scemi
Il duol, mentri si scopre, che’l diletto
Dal cor ne’ sensi si diffonde, e torna
A ribalzar con maggior forza al core:
Come raggio di Sol, che si rifletta
Da terso specchio in se medesmo,accresce;
Che fe, chi và, nel suo venir rincontra,
E raddoppia in se stesso i suoi splendori.
Ma il duol si sfoga; perche l’huom, ch’intède
Le pene altrui, tal’hor ne geme, e piange:
E se’l mesto pensier pur torna al core,
Viene di fuor men vigoreso, e intenso;
Che la pietade altrui lo scema, e molce:
Come, chi scuopre innacerbita piaga
Al suo Chirurgo, ancor ch’al fin si resta
Piagato, come pria; pur scema in parte
Il suo primo dolor; perche l’unguento
Linisce il male; e men la piaga offende.