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Pft ATTO QV ARTO.’ Del mal graduo mio Signore,e Dio: Sì che vuò girne à fu feereti horrorì D’annoftftlue, e falitarie grotte, ter fuggir ogni intoppo, ogni periglio: X fe ben fatuo fon far troppo lardi ; Al mal, che può auuenire Off atnno rimedio è il mio con figlio.
Mif, Terna,honorato Vecchio, il fanto piede.
Che poc'anzi lauì, Che poc'anzi baciò Qui/ gran Signor , che foura'l Ciel rifilili.
f ie, Honoralo fon io, che'l mio Signore Uegai tre volte ? efacrofanto ì il piede} Che sì tardo feguì l'orme di lui !
Vecchio fon io, c’hò it fanciullo il fenno ?
lo,eh'al primiero ajfalto, al primo incontra Caddi d’vrnt vilfantet lo,che giurai Di non fttptr quel che le pietre, e i marmi ’Riconofcon per Dio ? Mif. Di nono torni, Tietro, a' tuoi pianti} e confidar pur dei Nel» pietà del Ciel. Pie. Spero-, ma in vano Tenie di confdar l’afflitto core, Che l fallo mio fù troppo grani, e indigno.
Mif, PietrójCom’huom cadelii-, hor,come jf irto f Del Ciel ri forgi: e rammentar ti dei, Che quel Signor,che’l tuo cader prtdijft, Anco del pentimento ixdicio d‘< de.
Fie, Debbo dunque fentirmi : e fe»{a doglia Che vale il pentimento/} il duolo e aio D'vn cor pentito, e beueraggio e tl pianto.
Mif. Ma non conuien,che ft» perpetuo tlfiantc, X‘l dolor (en\a termine ; ma bufi a, t Ckt’lfaUo fempre al penitente fpiaccia, - - . tfen.
