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SCENA QV A RTA. ni Ptr'o porliam di qua pria che ci {infra.
Ciò. Fermtfi » C vno,e l’altro-, ch’io non ugno De fifefe di Dio vindice, e boia.
Ni voi l'ira di Dio temer dettele : Che queflo e giorno £ indulgeva-,e l Padre Già èfodisfatto nel fuo Figlio morto-, Ne.grida il fangue fpirfe,altro, che pace .
Ma tu Giuda pur troppo,ahi troppo erra fu, Ch’à si vii prezzo il tuo Signor vendefli.
Trenta danari vn Dio?l’cri sì ingordo .
V'argento,era il mio fangueoi-dspcleui Trarne guadagno-, era la vita mia , Che poleaJiatrattatfì à migliorprezx.0', E fe t’afflitta Madre hautjfe ititefo 1 tuoi thfegns,h*urebbe cUafe ftiff* Venduto altrui.per ricourarne il figlio.
Vedete come freme,e non fà motto :.
E non foffre mirarmi: hor io non voglio Innacerbirlo più Giuda,non parli ?
Fratello,io li perdono,ei ti perdona , Che per li fuoi cronfiflori al Padre yìnzi’t morir le prime voci offerfe.
Giti- Come pregar potè per fuoi nemici { SÌ magnanimo fu- pur, come di {fei Gio, Pad-e perdona à juei.perchenon fanno Quii che fi firmo-, e à queflo dire il volt»
B igria d'amare lagrime, e poi tacque.
Giù. Efclufo io fon da quefle preci, e pianti, Ch’io feppt ben quel,che facca-,conobbi E la viltà del p ezzo, e il fallo indegno , E il mal voler de’ compratori: e in fine Il meglior vi Udì, & ai peggi or rn’apprefi Ciò. No» fai,cht l Imo furor ntolfeilfer.no ?
S Gru.