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nel senso funebre dato al cipresso riconoscer debbasi uno de’ tanti esempli di quell’eufemismo, per cui l’antichità greca abbelliva le idee tutte di lutto, e specialmente nel linguaggio delle arti le vestiva di ridenti e piacevoli apparenze.

Il cipresso, il cui legno esente dalla carie e perenne (ἄσηπτος) sceglievasi appunto perciò per servire d’arca funebre a coloro che erano morti in guerra in difesa della patria1, e che rappresentando la forma dell’obelisco, ossia del raggio solare, era divenuto com’esso2 simbolo del sole, doveva per gli stessi motivi essere il simbolo della eternità, cui i defunti dopo questa vita mortale erano destinati nelle più elevate dottrine del paganesimo stesso. Seguiamo in ciò pienamente l’opinione

    dottissimo de’ Romani, Varrone, pyras ideo cupresso circumdari, propter gravem ustrinae odorem, ne offendatur populi circumstantis corona. Le stesse cose ripete Isidoro orig. lib. XVII cap. 7 n. 34.

  1. Tucidide lib. II e. 34 ed ivi lo scoliaste. Non parci ben dilucidato ancora donde fosse derivato quell’insegnamento, per cui i discepoli di Pitagora giusta l’autorità di Ermippo riferita da Diogene Laerzio (lib. VIII segm. 10) non volevano dopo morte venir rinchiusi in un’arca di cipresso (ἀπείχοντο δὲ καὶ σοροῦ κυπαρισσινῆς), dandone per ragione che lo scettro di Giove era di cipresso. Secondo Jamblico (vit. Pyth. c. 28) Pitagora stesso avea ciò insegnato. L’Aldobrandini nelle note a Diogene Laerzio crede che siesi dato a Giove nato in Creta lo scettro del cipresso pianta cretese. Ma il Meursio seguendo le idee del Bochart geogr. sacr. lib. I c. 4 crede che siesi con ciò voluto simboleggiare l’eternità dell’impero di Giove. Recentemente il sig. Boeckh (ad Pindar. fragm. pag. 631) ed il sig. Lobeck (Aglaoph. pag. 896) hanno seguita l’opinione dell’Aldobrandini.
  2. Plin. hist. natur. lib. XXXVI segm. 14.