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figura di Apollo non meno afflitto dello stesso suo giovane amico; e precisamente la particolarità del cangiamento de’ capelli di quest’ultimo in rami, indicata dal poeta, ed espressa ugualmente dal pittore, sono convincenti pruove che Ovidio, e non altri, fu il modello ch’egli ritrasse. Nè deve recar meraviglia, che nella romana colonia di Pompei fosse diffuso e conosciuto il poema del nostro sulmonese, divenuto popolare sin dal primo apparir suo, e che doveva quindi più di ogni altro richiamare a sè le menti degli artisti nell’esprimere le mitiche rappresentazioni. Conosciamo inoltre che in Pompei anche degli altri poeti latini dovea fiorir lo studio e la lettura, poichè se ne sono trovati trascritti i versi in più luoghi, e segnantemente nelle pareti della basilica1.

Dobbiamo intanto essere oltremodo contenti di avere in questo nostro dipinto la prima sicura immagine che della metamorfosi di Ciparisso abbia a noi lasciata l’antichità figurata.

Da’ recati versi di Ovidio si ravvisa che il mito in essi narrato è dal poeta riferito all’isola di Ceos una delle Cicladi, e precisamente alla parte di essa ove sorgeva la città detta Carthaea. Non è fuor di luogo osservare che il culto di Apollo, e del di lui figlio Aristeo, era massimamente ricevuto in quest’isola: dal che parci potersi inferire che non altrimenti delle già indicate città dette

  1. Vedi il pregevole libretto del Sig. Wodsword impresso in Londra nel 1837 ed intitolato inscriptiones pompejanae.