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genuità e di spensieratezza. Grassoccia e robusta, giocavo, ridevo, follemente, con tutto: con le piante e le stelle, con le farfalle e i bambini piccini. Passavo le notti, alla finestra, conversando coi firmamenti che mi ascoltavano compiacenti, e all'alba mi mettevo a letto, dormendo senza sogni, un sonno di nove ore, in un'atmosfera di spruzzi di fontane e di risatine squillanti. Questa era la mia vita. E quando l'ho conosciuto, sono andata a lui con una fiducia infantile, con uno slancio perfetto di tutta me stessa, portandogli un'anima ignara e delicata che bisognava trattare come un fiore e coltivare pazientemente, graduando la luce e il calore. E invece lui, l'uomo, simile a tutti gli uomini, mi ha portata bruscamente nel mezzo del campo luminoso, in pieno sole torrido, e mi ha offerto, semplicemente così, l'amore. È perciò che io l'ho concepito come un enorme maglio incandescente che mi precipitasse addosso, come una massa ignuda e rovente che volesse plasmare colla sua cieca forza la mia sensibilità floreale di vergine. E ho urlato: — No, no! Mai! — e sono fuggita terrorizzata. Ho sofferto, è naturale, ho sofferto molto e profondamente. E questo dolore mi ha foggiata una nuova anima, sorda ad ogni richiamo della realtà, e dalla quale non mi distaccherò mai più.